PROLOGO: Terra Selvaggia,
Antartide
“Ti vedo preoccupato.”
L’essere di nome Stegron non
smetteva di osservare con aria accigliata il panorama sottostante, dalla sua
posizione sulla schiena dello pteranodonte. Quasi non
fece caso alla domanda posta dalla creatura che volava accanto a lui, una
rettiliana dotata di ampie membrane alari.
“Troppo facile,” disse distrattamente l’uomo-dinosauro, uno stegosauro
antropomorfo. “Non abbiamo incontrato alcuna ressisstenza nella nosstra fuga.
Dobbiamo atterrare qui e ssubito.” Così dicendo, usò
il proprio potere mentale per comandare il rettile verso terra.
Alara capì cosa intendeva il
suo strano alleato: gli umani del villaggio da cui erano da poco scappati[i] potevano
usarli come esca per raggiungere l’accampamento della
sua gente. Però… “Cosa facciamo? Da soli, non possiamo
tenere testa a…”
“Una cossa per volta,
femmina.”
MARVELIT presenta
Episodio 3 - Confronti
Una mano affusolata, forte,
coperta di scaglie smeraldine strinse saldamente una mano altrettanto forte, ma
più robusta, coperta di pelle bianca.
“Siamo felici della tua
offerta di aiuto, Ka-Zar. Sappiamo delle tue imprese
fin da quando il nostro era un popolo fiorente. Non speravamo di avere un
alleato tuo pari.”
Ka-Zar annuì. “Non avete più
nulla da temere, C’rel. Gli Esuli, da questo momento, sono
sotto la mia protezione. Vi aiuterò volentieri a trovare un luogo adatto dove
nidificare e prosperare.”
“A
nome di tutti, ti ringrazio. Prima, però, è indispensabile trovare la povera
Alara. Per quanto nutra fiducia in Khadar, la Terra
Selvaggia è troppo grande perché lui ed i Fratelli Sai la possano setacciare in
tempo utile per la nostra giovane.”
Ka-Zar si voltò in una
direzione precisa. “Conosco solo una tribù, nelle vicinanze, che potrebbe avere
catturato Alara. Andrò presso quella tribù, e farò loro capire che non siete
nemici.”
“In tal caso, verrò con te.”
Ka-Zar vide diversi volti e
musi contrarsi in un’espressione allarmata. Vicino a lui, il possente
smilodonte Zabu brontolò.
“Non
posso chiederti di lasciare la tua gente senza guida. Inoltre, in questa fase è
meglio che abbiano a che fare solo con me. Con le buone o le cattive, Ka-Zar
farà comprendere loro che hanno sbagliato. In seguito,
ci sarà spazio per la diplomazia.”
Lo pteranodonte atterrò in
un’ampia radura nella giungla.
Stegron saltò giù. Alara
arrivò un attimo dopo.
“Qui andrà bene,” disse l’uomo dinosauro.
“Bene per cosa?”
“Per trassformare i nosstri
insseguitori in prede. Adesso giochiamo ssul nosstro terreno.”
A
circa un chilometro di distanza, un uomo, i cui vestiti erano le proprie
pitture corporee, un magnifico arabesco nero contro la carne olivastra, osservò
le due creature ferme dov’erano, in attesa. Alla sua
vista potenziata, i bersagli apparivano vicini come se si fossero trovati a
pochi metri.
L’uomo
si rivolse a una donna dietro di lui. E come lui, indossava una fitta trama di pitture, ma di
colore bianco. “Brain, contatta Lady Zaladanna.
Facciamo rapporto.”
Il villaggio era un mirabile
esempio di ingegneria delle palafitte. Non erano
semplici capanne, quelle che sorgevano sulle piattaforme, bensì piccoli edifici
in granito, dall’aspetto allo stesso tempo primitivo e moderno.
Al centro del villaggio, come
al centro di una raggiera, sorgeva la più grande delle piattaforme. E su di essa giaceva una struttura cupolare grande come una piazza
d’armi.
<E
questo è quanto, mia Signora. Quali sono i tuoi ordini?>
Lady Zaladanna era la donna
dai capelli neri e il volto sprezzante che aveva ‘accolto’ Alara[ii]. Stava
languidamente sdraiata su una pelliccia di un qualche animale scimmiesco,
davanti ad un enorme camino ardente, avvolta da un aderente costume azzurro che
le lasciava scoperte braccia e gambe.
Sorseggiando
da un ampio calice di liquore, Zaladanna rispose mentalmente, <Sapete cosa
fare, miei cari mutati. Se non vi conducessero dalla
loro gente, uccideteli pure.>
“Li ho visti…almeno credo.
Sono veloci, e devono usare qualche trucco mimetico.” Alara non aveva bisogno di potenziamenti. La
sua vista da volatrice era acuta quanto quella di un’aquila.
“Quanti?”
“Tre…ma potrebbero benissimo
essere di più.”
“Lasciamoli avvicinare.” Il
muso a becco di Stegron non poteva sorridere, ma nei suoi occhi c’era una luce
che diceva tutto.
I due rettiliani stettero schiena a schiena, attendendo…
E i nemici arrivarono! Sembrarono materializzarsi,
tanto che erano stati veloci.
Alara li studiò velocemente.
Erano cinque, umani, coperti da elaborate pitture corporee. Tre
uomini e due donne, tutti senza un solo capello in testa, e con le orecchie a
punta. Erano pressoché identici, gemelli puri. I loro occhi brillavano
di luce propria.
“Sauri, siamo qui per darvi
un’ultima possibilità,” disse uno degli uomini.
“Conduceteci dalla vostra gente, e le vostre vite saranno risparmiate. Se non
cooperate, vi uccideremo.”
“Mettiamola cosssì, mammiferi.
Ssse non ve ne andate, noi uccideremo voi.”
L’uomo che aveva parlato
iniziò a brillare. Contemporaneamente, il suo corpo crebbe di massa e
dimensioni, fino a raggiungere il triplo di quelle di un uomo! Sollevò i pugni
sopra la testa, e li calò a terra con violenza!
Fu come se Hulk in persona
avesse colpito il suolo! L’onda d’urto sbilanciò i due sauri.
Il secondo uomo, sibilando
come un gatto, si gettò addosso ad Alara. Nel salto, le sue unghie si
estrofletterono in artigli, e i canini crebbero aguzzi come quelli di una
creatura ferina.
Alara si preparò ad accogliere
il nemico…ma non ce ne fu bisogno! Una forma velocissima andò a colpire il
mutato, ed insieme rotolarono per terra. Si udì un
breve grido, seguito dal suono sinistro della carne lacerata.
“Velociraptor!” esclamò Alara.
Doveva essere stato Stegron, ecco qual’era il suo
piano.
Ce n’era un intero branco,
almeno una dozzina, e sciamarono, furiosi ed affamati, sui mutati.
Il mutato forzuto non ebbe
problemi: la sua robusta pelle sopportò benissimo zanne ed artigli, mentre i
colli dei raptor non ressero affatto alle sue mani! Due di loro morirono
rapidamente.
Quanto agli altri quattro? Uno
di loro possedeva il dono di trasmettere energia cinetica, e come l’aveva usata
per fare muovere velocemente tutto il gruppo, così la uso
per tenere in salvo sé stesso ed altri due.
Ne rimaneva uno, la femmina di
nome Brain. Apparentemente, una preda ideale per tre dei
velociraptor.
Di fatto, l’elemento più
pericoloso: Brain possedeva una mente capace, a distanza ravvicinata, di
controllare interamente i corpi delle sue prede -come scoprirono i rettili, che
interruppero bruscamente il loro attacco…per poi voltarsi verso il loro
‘padrone’.
“Temo che tu sia troppo
pesante per portarti via in volo,” disse Alara a
Stegron.
I velociraptor saltarono!
E un gigantesco corpo andò a colpirli in pieno,
sbaragliandoli come birilli! Avvenne così rapidamente che per un momento i due
sauri pensarono a un macigno… Poi, videro che a quel
‘macigno’ era attaccato un braccio colossale.
La scena si fermò,
letteralmente. Tutte le teste si voltarono verso l’alto.
Il nuovo arrivato era un
gigante. Doveva misurare venti metri, una massa di muscoli e scaglie, con una
morfologia antropoide dotata di una spessa coda rettiliana. Indossava una
specie di body scarlatto, e un paio di bracciali dorati.
Ma fu un’altra figura che
attrasse l’attenzione di Alara. La femmina spalancò
gli occhi. “Khadar!”
Il capo militare degli Esuli
stava in piedi sulla spalla del colosso, e la stava salutando con una mano.
Il mutato dalla vista
telescopica, di nome Deepsight, indietreggiò di diversi passi. Era ovvio che dovevano ritirars*
Lui non lo avrebbe fatto:
qualcuno scivolò alle sue spalle, velocissimo, e il mutato ebbe solo il tempo
di sentire un dolore terribile al collo ed alla schiena, poi più nulla, mentre
le arterie lacerate pompavano via il prezioso sangue.
Il forzuto, Ravager, si voltò
verso il compagno caduto…e si trovò di fronte ad altri due nuovi rettiliano,
due colossi grandi e robusti come lui, i cui corpi mostravano come un’armatura
di placche ossee. Altre placche, affilate come lame, andavano lungo i polsi e
le caviglie.
I due Esuli, due dei quattro
Fratelli Sai, scattarono all’unisono verso il loro bersaglio. Ravager tentò
invano di colpirne almeno uno, ma era troppo lento per
loro. Si vide solo un balenare delle lame ossee, e un attimo dopo i Fratelli Sai si trovarono a dare la schiena al nemico.
Ravager osservò, fra il
perplesso ed il curioso, la sua mano destra staccarsi lentamente dal polso,
mentre un filo di sangue si stendeva lungo il collo. Non urlò neppure
-soprattutto perché la testa seguì il fato della mano.
Brain si voltò per fuggire…ma
la mano del terzo Fratello Sai l’afferrò per il cranio. La mutata tentò di
esercitare il proprio potere…solo per scoprire, con suo orrore, che il
legame-gestalt dei quattro gemelli poteva rendere ognuno di loro forte come tutti e quattro insieme. Tanto fisicamente quanto
psichicamente.
L’Esule stritolò il cranio
della donna senza pensarci su due volte.
Gli ultimi due mutati
fuggirono a gambe levate.
“Lasciamoli stare,” disse Khadar al gigante. “Porteranno con loro la notizia
della loro ignobile sconfitta, e i loro capi dovranno pensarci su molte volte
prima di aggredire un Esule. Inoltre, ci abbiamo
guadagnato del cibo.”
Il gigante gli offrì il palmo,
e Khadar vi saltò su. Quindi il gigante si abbassò per
deporlo a terra.
Khadar si avvicinò ad Alara.
“Sono felice di vederti viva e sana, Alara. Ma la tua punizione dovrà essere
molto severa.” E a sottolineare
ciò, le mollo un manrovescio che avrebbe spezzato il collo di un uomo.
Lei non batté ciglio, e si
limitò a ripulirsi il labbro sanguinante con il dorso della mano. Tutto questo
era successo perché lei si era fatta prendere dall’euforia, ignorando gli
avvertimenti di Khadar sulla sicurezza[iii]. Era
colpa sua.
Khadar si voltò verso Stegron.
Per quanto l’uomo dinosauro fosse imponente, era
decisamente sminuito dalla stazza dell’Esule.
“Chi sei?
E qual è il tuo interesse in questa faccenda?”
“Un tempo ero
un umano. Mi chiamavo Vincent Ssstegron. Ad un certo punto
della mia vita, decisssi che l’umanità era una ssspecie inferiore, debole.
E divenni quello che sssono ora.
“Alara mi ha parlato di voi
Esssuli…”
Khadar lanciò un’occhiata
pericolosa alla femmina, che si ritrasse di un paio di passi.
“…e
penssso che abbiate bisssogno di qualcuno capace di parlare con i fratelli
rettili, qualcuno che vi assisssta nella vossstra difesssa contro il comune
nemico umano. In cambio, chiedo sssolo di condividere il vossstro ssspazio. E qui nella Terra Ssselvaggia, ce n’è in abbondanza. Ho sssalvato la vossstra giovane, non ho quindi forssse
diritto alla vossstra fiducia?”
Khadar pesò quell’offerta. In
realtà, il gigante avrebbe dato tutta la protezione e la preziosa conoscenza di
cui gli Esuli avevano bisogno… Ma era anche vero che
questo Stegron sapeva troppo per inimicarselo, non ora che il loro numero era ancora
pericolosamente basso. Ucciderlo..?
“Alara, è vero quanto ha
detto? Che devi a lui la tua libertà?”
Alara annuì. “Sarei ancora
prigioniera degli umani…o peggio, se Stegron non mi avesse aiutato?”
Khadar brontolò. L’onore gli
imponeva di non fare del male a questo straniero, a questo punto… Fin quando lo
straniero non avesse messo gli Esuli in pericolo.
“D’accordo, Stegron. Sii il
benvenuto fra la nostra gente.”
L’altro stava ammirando la
gigantesca figura. “Interessante. Assomiglia notevolmente alla creatura aliena
di nome Gog. Ma credevo che fosse ssscomparssso[iv] tempo
addietro…”
“Lo conosci?” chiese Khadar.
“Diciamo che….sssi è fatto una fama fra le tribù.”
Le dimensioni del gigante cambiarono, il suo corpo divenne progressivamente più
piccolo, fino a raggiungere le dimensioni di Khadar. “Potete chiamarmi Magog.
Sono la sorella di colui che chiami Gog.”
“Basta parlare, adesso,” disse Khadar, mentre il gruppo si riuniva intorno alla
femmina aliena. “Magog, portaci al nostro accampamento.”
Magog annuì, e sollevò
velocemente le braccia, fino a sbattere con violenza i bracciali.
Una
luce abbagliante avvolse le otto figure, che un batter d’occhio dopo erano
scomparse.
Riapparvero nel punto
indicato, in riva al fiume, ai margini dell’accampamento. Come c’era da aspettarsi, l’improvvisa apparizione portò un certo
scompiglio fra gli Esuli. Scompiglio che Khadar calmò avanzando e ruggendo una
sola parola, “Calmatevi!”
Quando ebbe ottenuto la loro attenzione, il militare disse,
“Porto buone notizie: Alara, come potete vedere, è di nuovo con noi e sta bene.
Inoltre, abbiamo due nuovi alleati pronti a battersi con noi!” E con un cenno
del braccio indicò, per poi presentarli, Magog e
Stegron.
“So chi sono,”
disse Ka-Zar, affiancato da Zabu, facendosi largo tra la folla.
Khadar fissò prima l’umano e
poi C’rel che lo affiancava, interrogandola con gli occhi.
Ka-Zar si avvicinò con fare
sicuro. “Due nemici della Terra Selvaggia. Gog,
nonostante non fosse un mero bruto, è stato anche un servitore di diversi miei
avversari, e ho perso il conto delle volte in cui Stegron ha attentato alla mia
vita, e non solo la mia.” Fissò Khadar negli occhi. “C’rel ti aveva descritto come creatura di saggezza, Khadar.
Vedo che si sbagliava.” Zabu si mise a ringhiare.
Khadar fece altrettanto. Magog
si frappose fra loro. “Ti confondi con mio fratello, umano.”
Ka-Zar spalancò gli occhi. “Tu
parli la nostra lingua.”
Lei annuì, e spiegò le
circostanze della sua presenza fra gli Esuli e della missione che l’aveva portata insieme a Gog sulla Terra.
Quando ebbe finito, Khadar si avvicinò a Ka-Zar.
Torreggiando su di lui, disse, “Quanto a Stegron, gli dobbiamo
la salvezza di Alara. Pertanto, è un nostro
affare. Tu stanne fuori.”
Il signore della Terra
Selvaggia stava per rispondergli a tono…quando vide tre sauri portare
altrettanti cadaveri umani sulle loro spalle. “Fermi! Chi
sono quelli!”
“Cibo,”
rispose Khadar. “Il migliore destino di un nostro nemico.”
“Vengono dal villaggio dove io
ed Alara eravamo prigionieri,” intervenne Stegron.
“Sssono mutati di Lady Zaladanna.”
“Zaladanna..? Vuoi dire Zaladane?” fece Ka-Zar.
Stegron scosse la testa. “Sssi
dichiara sssua figlia. E devo dire che, a parte l’età,
la sssomiglianza è impressionante. Possiede vassste conoscenze di biogenetica.
Per lei, tanto gli uomini quanto gli animali sssono sssolo cavie.”
Ka-Zar ripensò ad altri
stranieri che nella Terra Selvaggia avevano giocato con il DNA, in passato:
Magneto, Brainchild, Zaladane… E tutte le volte, i risultati erano
stati terribili per il suo mondo…
Il suono dei cadaveri
depositati a terra lo scosse dai quei pensieri. “Zabu,” disse al felino, che prontamente si mise fra i sauri ed i
morti.
“Cosa
significa?” fece Khadar. “Perché continui ad
interferire?”
“Nemici o no, meritano
rispetto. Non ne farete cibo, ne’ di loro, ne’ di
qualunque altro umano.”
“Quello che noi mangiamo è…”
Toccò a C’rel
di dire la sua. “Silenzio, Khadar!”
Lui si comportò come se fosse
stato frustato sul muso. Tacque di colpo, e fece un inchino all’indirizzo del
suo capo.
“Ka-Zar,”
disse C’rel. “Devi capire che noi abbiamo i nostri costumi: indulgiamo
occasionalmente nell’antropofagia, ma solo quando giunge alla conclusione di un
combattimento mortale. Non è una nostra pratica regolare. Non metteremmo in
pericolo delle vite innocenti.”
Lui ricambiò con tutta la sua
solennità. “Spero per voi che sia vero, C’rel, o
scoprirete che le tribù della Terra Selvaggia, unite, possono combattere
ferocemente quanto voi.” Per quanto gli ripugnasse l’idea di
sapere cosa ne sarebbe stato di quei tre disgraziati, era anche vero che alcune
tribù del suo mondo avevano usanze del genere. Le più terribili le aveva
fatte cessare, senza eccezioni…
Ma questa gente, a dispetto della loro intelligenza e
della loro postura, non era umana. Non poteva applicare interamente loro il
metro che applicava per i propri simili della Terra Selvaggia.
Lanciò un’altra occhiata a
Stegron e alla sedicente Magog. L’esperienza gli consigliava di sbarazzarsi di
loro, di mettere ancora una volta in guardia gli Esuli… Ma C’rel,
almeno questo se lo sentiva con certezza, non sembrava impulsiva o manipolabile.
E lo stesso Stegron, circondato da simili creature, non avrebbe certo potuto
inimicarsele, se voleva vivere a lungo.
Magog era tutto un altro
conto: era un’incognita, una presenza aliena, e a lui non piaceva
assolutamente. Avrebbe pensato a risolvere l’enigma, certo… Ma prima, doveva occuparsi di questa gente come aveva promesso. Dopo,
sarebbe stato il turno di questa Lady Zaladanna.
Ammesso che
Stegron avesse detto la verità. Di
sicuro, Ka-Zar si sarebbe organizzato in modo da avere sempre e comunque più di un paio di occhi a sorvegliare questa gente!
“Vi trovate in una buona
posizione per fondare una comunità stabile. Vi procurerò una mandria di animali adatti per il vostro nutrimento. Il terreno è fertile, potete coltivarlo. Un’altra cosa: voglio che tu e
Khadar vi teniate a disposizione per parlare al
prossimo Gran Consiglio delle Tribù, dove sarete presentati.” Parlando, continuò
a lanciare occhiate diffidenti a Khadar e C’rel.
“Andiamo, Zabu. Abbiamo molto da fare.”
I sauri osservarono la coppia
sparire fra il fogliame. Poi, rivolta a nessuno in particolare, C’rel disse, “Almeno questo è un aspetto della nostra
cultura che ora conosce.” Si voltò verso il militare. “La tua capacità di
inimicarti chiunque venga a contatto con noi continua a sorprendermi, vecchio
amico mio. Hai mai sentito parlare di ‘flessibilità’?”
“Non dobbiamo nascondere…”
“In questo caso, sì. Non possiamo e non dobbiamo permetterci di entrare
in guerra con chicchessia, in questo posto. Reagiremo solo se provocati,
uccideremo solo per difenderci e null’altro. Non siamo qui per conquistare.” Si voltò, per tornare fra gli altri. “E
ora, prepara il banchetto. Dopo avremo molto da fare anche noi.” Poi, con un
gesto ed un tono calcolati per sembrare casuali, aggiunse,
“Quanto ad Alara, ha sofferto abbastanza sulla propria pelle le
conseguenze della sua avventatezza. E considerando che cercarla ci ha regalato due alleati preziosi…” abbozzò un sorriso.
“…Be’, direi che non è stata una giornata infruttuosa, giusto?” e concluse dandogli una pacca consolatoria sulla schiena.
“Alara!”
Lei, intenta a lappare
all’acqua del fiume, sollevò la testa ed ebbe solo il tempo di vedere una
sagoma in corsa verso di lei. “Yuke...NO!” troppo tardi. Fu praticamente
travolta e spinta in acqua, dove lei ed un giovane maschio iniziarono una finta
lotta a colpi di sibili e morsi inibiti.
Quando ebbero
finito, lui si trovava sotto, appoggiato contro la riva, con gli artigli
di lei ad accarezzargli la gola.
“Quante volte te l’ho detto?
Non ce la fai.” Alara allontanò gli artigli e si mise
a sedere accanto a Yuke.
Lui presentava un set di tre
corna frontali, due sulla fronte ed una sul naso, e il cranio si allungava in
una placca a ventaglio, come in un triceratopo. Anche
lui presentava delle placche che seguivano il contorno dei muscoli, ma nessuna
lama ossea. In compenso, era forte per un maschio della sua età… Anche se
l’agilità di Alara aveva inevitabilmente la meglio.
“Posso sempre sperare, no? In
fondo, dopo quello che avevi passato… Ouch!” concluse
dopo essersi beccato un pugno al collo -altra cosa da non sottovalutare era la
forza delle braccia della femmina, che le usava per librarsi nell’aria. “Va
bene, va bene, scusami. Lo sai che non volevo offenderti… Piuttosto, dimmi:
com’è la nostra nuova patria, vista dall’alto?”
D’un colpo, ogni preoccupazione scivolò via da lei.
Alara voltò la testa verso il cielo, raccogliendosi le gambe fra le braccia. “È
bellissima, Yuke. È come se Antesys avesse compiuto un atto di precisa volontà
nel creare quest’oasi nel mezzo di un deserto di ghiaccio. L’aria è così pura
da essere inebriante, qualcosa che ti sazia il cuore.”
Si accigliò. “Stento a credere che i nostri nonni abitarono nel mezzo di un
arido deserto. Certo, era isolato quanto bastava…o così credevano, ma tutto
quello che potevano fare era limitare la propria esistenza ad un mondo
semisotterraneo. Io sarei impazzita.” Si guardò
intorno. Adesso, nell’aria si stava diffondendo un profumo che le ricordò
quanto era affamata. Lo stomaco sottolineò
rumorosamente tale condizione.
Yuke le diede una pacca sulla
schiena. “Direi che di filosofia ci siamo nutriti abbastanza, per ora.
Coraggio, il banchetto cerimoniale non può aspettare: porta bene, inaugurare i
nostri nuovi confini con la carne del nemico.”
Di fatto, i membri dell’ultima
generazione di sauri che abitarono nel deserto del New Mexico,
fra gli Esuli, erano due. Khadar era il più giovane.
Il patriarca per eccellenza
era un esemplare magro, dalla pelle ormai rugosa. Il suo cranio era percorso da
una cresta ossea oblunga, piegata all’indietro. Si chiamava Ozel, ed era il
depositario del sapere scientifico della sua gente.
Per fortuna, Ozel era
assistito da tre validi giovani che nutrivano la sua stessa brama di
conoscenza… Ma, senza la possibilità di trasformare quel sapere in applicazioni
pratiche, la conoscenza si riduceva a mera tradizione orale,
a filosofeggiamenti…
L’arrivo di Magog
rappresentava per lui l’equivalente della manna dal cielo.
Per potere condividere il suo sapere, per riavere dei mezzi con cui riprendere
le sue ricerche, Ozel avrebbe soddisfatto qualunque richiesta dell’aliena,
nell’ambito del possibile.
“Penso che la tua nave sia
recuperabile.” L’anziano non esitò nel proferire quelle parole, mentre
osservava i progetti in forma olografica, proiettati da un’unità nella cintura
di Magog. “Lo scafo ha resistito all’impatto, i danni
maggiori sono presenti nei circuiti di propulsione e di controllo del
sistema vitale. È solo una questione di materiali. Appena ci saremo stabiliti,
potremo pensare allo sfruttamento minerario ed alla fabbricazione. Non dovrebbe
volerci molto tempo, un anno al massimo.”
Magog spense il proiettore.
Stegron, a braccia incrociate
al petto, ticchettò nervosamente un indice artigliato contro il bicipite.
“Magog, puoi togliermi una curiosità?”
“Parla.”
”Come è possibile che, in confronto a te, tuo fratello
fosse cosssì ottussso? Parlava sssolo nella vossstra lingua, ed era influenzabile
come un bambino.”
“Non era ottuso. Era effettivamente come un bambino, immaturo, essendo stato
estratto prematuramente dall’incubatrice. È cresciuto come un selvaggio,
senza altro riferimento che l’umano su cui ha aperto gli occhi la prima volta.
Il vero miracolo è che sia riuscito a comprendere il funzionamento delle bande
di teletrasporto.”
“Ti manca la tua gente?”
chiese Ozel, pensando istintivamente a quanto dovesse essere duro anche per
lei, essere lontana dalla sua patria…
“No. Sono stata programmata
geneticamente per non sentire il richiamo della mia specie.”
All’espressione stupefatta di Ozel, aggiunse, “Un
Plodex maturo, per dirla in parole semplici, è irresistibile ai suoi simili,
noi inclusi, anche se apparteniamo a un ramo parallelo della specie. È un
rischio che non possiamo correre.”
“Ci sono Plodex qui, nella
Terra Selvaggia?”
“Secondo gli scansori,
l’ultima volta che hanno funzionato, no; ma era molti anni fa.” Magog si diresse verso la porta. “Approfitterò del tempo
che dovrò spendere qui per cercare di localizzare eventuali presenze Plodex
nell’area. Ozel, siete in grado di aiutarmi a recuperare la nave?”
L’anziano sauro annuì. “Ti
prego solo di darci il tempo di perfezionare questo accampamento,
quindi saremo a tua disposizione.”
“Ottimo.” Magog uscì dalla
tenda, seguita da Stegron.
Quando furono fuori, l’uomo
dinosauro le si accostò al fianco. “Credo che potremo
guadagnare tempo, ssse sssei disssposssta a rissschiare.”
Lei si fermò, e lo fissò
freddamente. “Chiarifica.”
“I tuoi ssstrumenti devono
avere percepito la causssa per l’unicità della Terra Ssselvaggia.”
“Sì: un centro di controllo
ambientale degli Arcani. Non
stupirti, abbiamo incontrato altri esempi del loro lavoro di preservazione
faunistica. Cosa intendevi per ‘guadagnare tempo’?”
Stegron colse la nota di
diffidenza. “Potresssti utilizzare i biosssensssori del
centro di controllo per localizzare i Plodex. E con una frazione della
sssua energia, potresssti attivare la nave….”
“Le
pile della nave sono ancora in condizioni ottimali, o
metà di quest’oasi ambientale sarebbe ridotta a un cratere radioattivo. Quanto
all’idea dei sensori, sì, penso che sia valida.”
“Lady Zaladanna! La preghiamo!
Abbiamo fatto quello che potevamo! Non…” il resto
delle parole del mutato si perse in un lungo urlo, mentre le sue carni si trasformavano
progressivamente in pietra, per poi frantumarsi in una cascata di schegge.
“Un fallimento non ha
giustificazioni,” disse Zaladanna, contemplando i
mucchi di pietra che un tempo erano stati i suoi mutati. Poi si rivolse ad un
uomo dai lunghi capelli bianchi, che indossava un’ampia veste pure bianca, in
piedi accanto a lei. “Genesius, queste versioni sono state un fallimento.
Voglio che le prossime sappiano fare di meglio.”